martedì 13 gennaio 2009

"Stalin, Storia e critica di una leggenda nera" di D. Losurdo.

Finalmente, nel periodo in cui va di moda sparare a zero sui comunisti, sulla Resistenza, sulla storia dell'URSS, senza neanche curarsi se è vero o meno ciò che si afferma, un libro, scritto dall'insigne Professore Domenico Losurdo, apre uno spunto di riflessione sulla figura più controversa e demonizzata della storia del movimento operaio: il rivoluzionario giorgiano Iosif Vissarionovič Džugašvili, meglio conosciuto come Stalin. Un nome, che è ormai sinonimo di gulag, tirannia, deportazioni: insomma una spietato e sanguinario dittatore, temuto e amato in vita quanto osteggiato e deriso dopo la morte.
Il libro di Losurdo, cercando di andare oltre le banalizzazioni della propaganda, ricostruisce storicamente sia la vicenda staliniana che l'immagine dell' "uomo di acciaio" nel corso della storia stessa. Subito dopo la sua morte, infatti, vero e ammirato era il cordoglio generale. Tanto ammirato che l'autore riporta una dichiarazione di Alcide De Gasperi (che ne aveva riconosciuto le doti di grande organizzatore militare), non sospettabile di simpatie comuniste, che testualmente affermava : "Quando vedo che mentre Hitler e Mussolini perseguitavano gli uomini per la loro razza, e inventavano quella spaventosa legislazione antiebraica che conosciamo, e vedo contemporaneamente i russi composti di 160 razze cercare la fusione di queste razze superando le diversità esistenti tra l'Asia e l'Europa, questo tentativo, questo sforzo verso l'unificazione del consorzio umano, lasciatemi dire: questo è cristiano, questo è eminentemente universalistico nel senso del Cattolicismo" (pag. 13) . Ammirazione che fu condivisa da politici come Winston Churchill, Averell Harrimann (ambasciatore USA a Mosca 1945 - 46) e persino da intellettuali quali Norberto Bobbio, Benedetto Croce e Hannah Arendt (che poi cambiò radicalmente il proprio punto di vista).
Questa visione positiva, apologetica, subisce una inversione in un momento preciso della storia: in piena guerra fredda, il discorso pronunciato da Nikita Sergeevič Chruščёv il 25 febbraio 1956 in occasione del XX Congresso del PCUS, il famoso Rapporto, che dipinse Stalin come un dittatore sanguinario, vanitoso e mediocre dal punto di vista intellettuale: un ritratto falsato che consentiva al gruppo dirigente di accreditarsi come "unico depositario della legittimità rivoluzionaria" (pag. 17). Le accuse nei confronti del Segretario comunista furono rafforzate dalla propaganda del suo rivale sconfitto e degli intellettuali che a questi si rifacevano, cioè Trockij. Tutte i rimproveri a Stalin consentivano inoltre di non affrontare alcuni nodi dell'evoluzione storica, che di certo non rispondevano ad una rigida e ingessata lettura dei testi di Marx e di Lenin, poichè, per esempio, vi furono il rafforzamento dello Stato invece della sua estinzione, la forza delle identità nazionali (ben analizzata da Stalin stesso) si affermò a discapito di una visione semplificata dell'internazionalismo: la lettura interessata del XX Congresso consentiva di addossare tutte le contraddizioni all'opera infausta del dittatore scomparso. Il libro fa giustizia di alcune affermazioni ridicole della propaganda anticomunista, riporta la discussione sul piano storico (complesso è l'innesto della Rivoluzione nella storia della Russia pre-sovietica e della Prima Guerra Mondiale) confuta alcuni passi del discorso di Chruščёv e alcune leggende sui primi giorni dell'operazione Barbarossa (si è affermato che Stalin si fosse quasi ritirato dalle proprie responsabilità perchè colpito personalmente dal tradimento dei tedeschi, in realtà da documenti e testimonianze emerge l'esatto contrario). Sulle altre tragedie, tra cui i gulag e la collettivizzazione forzata delle campagne con la creazione di un imponente apparato industriale, si considera il clima di guerra e di emergenza che la Rivoluzione sovietica fin dagli inizi, dai tentativi di colpo di Stato, alle invasioni delle truppe bianche, si trova ad affrontare, con la necessità di sviluppare la nazione anche per poterla meglio difendere dagli attacchi. La stessa lotta politica tra Trockij e gli altri bolscevichi scatenata contro Stalin non fu sul semplice piano dialettico, ma portò il paese sull'orlo della guerra civile (a dieci anni dall'ottobre 1917 Trockij stava preparando un vero e proprio colpo di mano): i processi, le epurazioni, il terrore, furono in pratica "giustificati" da Churchill e dagli americani (si pensi all'ambasciatore Davies che affermava l'esistenza dei complotti antistaliniani) e da De Gasperi sulla scorta di informazioni in loro possesso.
Altri fatti vengono analizzati nel testo, che colloca la vicenda nel contesto della storia russa e del movimento operaio: non si tratta di un libro revisionista, sarebbe deluso chi si aspetta di trovare la negazione di alcuni tristi episodi. E' un saggio problematico, scritto da uno storico che compara situazioni coeve a queste vicende (ci sono pagine interessanti anche sulle vicende del colonialismo e dello schiavismo occidentale, sui campi di concentramento e sulle stragi compiute dai predecessori degli apologeti del libero mercato, pagine di storia dimenticate dai soloni della "democrazia", come lo sterminio dei comunisti in Indonesia dopo il golpe di Suharto del 1965, appoggiato dagli americani), che demolisce una volta per tutte la più infamante accusa mossa nei confronti di Stalin, quella di essere più o meno simile ad Hitler e al suo regime nazista.
Si trovano anche delle notizie sui gulag che fanno sobbalzare dalla sedia, una analisi della carestia ucraina e viene trattato il rapporto di Stalin con l'Ebraismo (viene confutata l'accusa rivolta da più parti che il Segretario del PCUS fosse un antisemita) : non da ultimo, una serie di interrogativi posti anche dalla storiografia di "destra" (per esempio il francese F. Furet) sul legame tra violenza e rivoluzione (Giacobini e Termidoriani della Rivoluzione francese) e su alcuni aspetti del marxismo stesso.
Il libro si chiude con un saggio di Canfora che fa alcune interessanti considerazioni sulla caduta dell'URSS e dei paesi ad essa legati, una analisi che chi si cimenta con la storia del comunismo e una sua eventuale riproposizione futura non può che non considerare (dove si accenna ad un vero e proprio tradimento dell'ultimo Segretario del PCUS, Michail Sergeevič Gorbačëv).
Il testo, per chiunque volesse approfondire le vicende in questione, è corredato da molte note e in fondo è presente una ricca bibliografia.

D. LOSURDO, "Stalin. Storia e critica di una leggenda nera", Carocci Editore, Roma 2008.

3 commenti:

Jean Lafitte ha detto...

ottimo. copio-incollo sul mio blog, citando ovviamente la fonte.

Andrea_Komunist ha detto...

Fai pure, mi sono impegnato a scrivere qualcosa di decente.
Saluti comunisti

Anonimo ha detto...

Stalin (ma sarebbe stato un altro pincopallo se questi, ad esempio, fosse morto da giovane di un male qualsiasi) ha personificato la peggiore controrivoluzione della storia: ha fatto passare per socialismo la costruzione di un capitalismo di stato in Russia, traendo in inganno i lavoratori di tutto il mondo che, caduta l'URSS, hanno perso ogni orientamento.
I rivoluzionari sterminati dalle sue purghe, gli insorti della comune di Varsavia, soffocati dai nazisti nell'indifferenza delle truppe di Stalin, gridano ancora vendetta.

http://www.quinterna.org/lavori/capitalismo_etichettato_socialismo.htm

Pochi hanno tenuto fede ai principi teorici del marxismo: tra questi il fondatore del PCI, che lottò per tutta la vita contro le mistificazioni di chi era più interessato ad ottenere qualche poltrona che a combattere per il socialismo.
Dove c'e' salario e circolazione di moneta non c'e' socialismo: Losurdo (che ha mostrato anche simpatie per la Cina di oggi, paese ultracapitalista e nemico dei lavoratori), a quanto pare sembra non aver compreso questi principi, pur dicharandosi "comunista".